martedì 23 febbraio 2010
SE IO FOSSI...
Se io fossi del PDL urlerei: MENO TASSE PER TUTTI!
Se io fossi della Lega Nord denuncerei: COMUNE LADRONE!
Se io fossi del PDL mi indignerei: BASTA COI CARROZZONI!
Per fortuna (purtroppo) non sono né della Lega né del PDL e mi limito a far notare che è facile fare propaganda dicendo che si vogliono TAGLIARE LE TASSE, ma poi gli amministratori locali devono fare i conti con BILANCI SEMPRE PIU”INGESSATI” e fare scelte DOLOROSE… MA NECESSARIE.
Il Sindaco Marinello e la sua maggioranza, dopo aver aumentato del 300% l’ADDIZIONALE IRPEF (portandola da 0,1% a 0,4% con un aumento medio di circa 80€ per ogni famiglia domese), ora aumenta del 25% la TARSU, senza che vi sia alcun obbligo di legge!
Se io fossi della Lega Nord griderei: E’ UNO SCANDALO L’AUMENTO DELLA TARSU!
Se io fossi del PDL mi inventerei una GESTIONE AUTONOMA DEL CICLO DEI RIFIUTI PER TENERE LE TARIFFE BASSE!
Ma per fortuna (purtroppo) non sono né della Lega né del PDL, per cui mi limito a far notare che, se è vero che l’aumento della TARSU è necessario perché nel prossimo futuro entrerà in vigore il regime della Tariffa di Igiene Ambientale (TIA) con l’obbligo della COPERTURA TOTALE DEI COSTI, perché la stessa cosa non era valida per il SERVIZIO IDRICO INTEGRATO?
Mi viene il sospetto che questa volta, visto che alle leve dei comandi dell’ATO rifiuti e della Valle Ossola Spa ci sono uomini del centro-destra, non ci sarà nessuno del centro-destra a protestare: testa bassa e…pedalare!
Auguri a tutti i domesi perché possano sopportare questo ULTERIORE AUMENTO DELLE TASSE!
Massimo
sabato 6 febbraio 2010
Governo Vendola: la giunta approva la legge su acqua bene comune.
Governo Vendola: la giunta approva la legge su acqua bene comune.
La Giunta Regionale pugliese ha approvato oggi il disegno di legge regionale che sancisce il principio dell’acqua bene comune dell’umanità, per cui il servizio idrico integrato deve essere necessariamente gestito da un soggetto pubblico. Lo rende noto l’assessore regionale alle Opere Pubbliche Fabiano Amati relatore del provvedimento.
Il disegno si compone di 15 articoli che stabiliscono i termini di governo e gestione del Servizio Idrico Integrato attraverso la costituzione dell’azienda pubblica regionale “Acquedotto Pugliese – AQP”.
Specificamente si stabiliscono i principi dai quali trae ispirazione l’intero disegno di legge, ovvero che l’acqua è un bene comune, di proprietà collettiva, essenziale e insostituibile per la vita, non assoggettabile a leggi di mercato, il cui approvvigionamento deve essere difeso e garantito dalla Regione Puglia. Viene inoltre sancito il principio secondo cui il servizio idrico integrato è privo di rilevanza economica e deve essere sottratto da ogni regola della concorrenza.
Il disegno di legge istituisce l’azienda pubblica regionale “Acquedotto Pugliese – Aqp”, che subentra all’Acquedotto pugliese s.p.a. e sarà amministrata in forma di azienda pubblica regionale priva di scopo di lucro che potrà eventualmente gestire attività diverse dal servizio idrico integrato, attraverso la costituzione di società anche miste, purchè gli utili siano utilizzati per migliorare il servizio.
Per garantire inoltre la disponibilità e l’accesso all’acqua come diritti inviolabili dell’umanità, il disegno di legge istituisce un fondo regionale per il diritto all’acqua ed uno di solidarietà internazionale. Il primo, gestito dalla Regione Puglia con i Sindaci associati nell’ambito territoriale ottimale, mira a garantire il livello essenziale di accesso all’acqua per soddisfare i bisogni essenziali di vita di ogni Cittadino, che saranno garantiti gratuitamente e a carico della fiscalità generale; il secondo invece tende a rimuovere gli squilibri economici e sociali e a contribuire a garantire il diritto all’acqua potabile a quelle popolazioni che non hanno accesso ai servizi idrici.
Il Consiglio d’amministrazione dell’azienda regionale sarà composto dal presidente, dal vice presidente e da tre consiglieri d’amministrazione nominati dall’assemblea dei sindaci pugliesi.
“Il servizio idrico integrato gestito da un soggetto pubblico – ha commentato l’assessore Fabiano Amati – è la migliore garanzia per affermare nei fatti piuttosto che a parole che l’acqua è un bene comune dell’umanità. Se questo è vero in generale, è altrettanto necessario in Puglia: una regione che notoriamente non ha acqua e per questo la capta e adduce dalle regioni limitrofe, attraverso l’opera ingegneristica più complessa del mondo e più grande d’Europa.
L’acquedotto pugliese fu realizzato per emancipare i pugliesi dalla sete e dall’ingiustizia – ha concluso Amati – ed ancora oggi abbiamo la necessità d’affermare la pubblicità del servizio idrico integrato per non trovarci catapultati in più nuove forme di ingiustizia, che sarebbero realizzate attraverso la gestione privata del servizio, disperdendo il tanto e il buono fatto negli ultimi cinque anni da AQP.”
martedì 2 febbraio 2010
L'indagine dell'organizzazione su 21 luoghi tra "Cie", "Cara" e "Cda".
In 5 anni è cambiato poco. L'assistenza in tutti i campi è insufficiente MSF, per gli immigrati irregolari centri in emergenza e senza diritti.
di VLADIMIRO POLCHI
MSF, per gli immigrati irregolari centri in emergenza e senza diritti
ROMA - Scarsa tutela dei diritti fondamentali. Mancanza di protocolli d'intesa col Sistema Sanitario Nazionale. Insufficiente assistenza legale, sociale, sanitaria e psicologica. Episodi di autolesionismo, risse, rivolte. Assenza di beni di prima necessità. A distanza di cinque anni, Medici Senza Frontiere (MSF) torna nei luoghi di trattenimento degli immigrati privi di permesso di soggiorno. Cosa è cambiato? Poco: "La gestione dei centri per migranti, nonostante siano stati istituti ormai da più di un decennio, sembra ancora ispirata da un approccio emergenziale e in larga parte lasciata alla discrezionalità dei singoli enti gestori".
MSF aveva già condotto nel 2003 un'indagine sui Cpt italiani. Nell'autunno del 2008 due equipe composte da dottori, infermieri, operatori sociali e mediatori culturali sono tornati in 21 centri tra CIE (Centri d'espulsione), CARA (Centri per richiedenti asilo) e CDA (Centri d'accoglienza), disseminati sul territorio nazionale (l'ingresso a Lampedusa è stato negato dalla Prefettura di Agrigento). Nella prima metà del 2009 si sono verificati, tuttavia, due eventi che hanno modificato lo scenario: l'estensione da 2 a 6 mesi del periodo massimo di trattenimento all'interno dei CIE e la brusca interruzione degli arrivi di migranti sulle coste meridionali, principale canale di approdo dei richiedenti asilo in Italia, in seguito agli accordi tra Governo italiano e libico. MSF ha quindi deciso, nell'estate del 2009, di entrare nuovamente nei centri.
I risultati? Sconfortanti. "Analizzando i dati raccolti nelle visite condotte nel 2008 e nel 2009 - si legge nel rapporto "Al di là del muro" - nonostante alcuni miglioramenti soprattutto nella qualità degli edifici, è emersa una condizione non molto dissimile da quella riscontrata nel primo rapporto del 2003. Permangono numerosi fattori di malfunzionamento ed episodi di scarsa tutela dei diritti fondamentali a prescindere dall'ente gestore". Non solo. Difetta la trasparenza, "come testimoniato dal rifiuto del ministero dell'Interno di rendere disponibili a MSF le convenzioni stipulate tra i singoli enti gestori e le locali Prefetture (la Prefettura di Crotone è l'unica ad aver reso disponibile una copia della convenzione sottoscritta con l'ente gestore del centro)". Insomma, "i centri per immigrati sembrano operare come enclave con regole, relazioni e dimensioni di vita propri, senza controlli esterni e di indicatori di qualità".
Le condizioni peggiori sarebbero nei CIE. Ci si trova dentro di tutto: dagli ex detenuti agli stranieri con anni di soggiorno alle spalle, figli e famiglia in Italia. "Il 50% degli intervistati era in Italia da più di 5 anni, di cui molti anche da più di 10 anni. Nel complesso, il tempo medio di permanenza in Italia dei trattenuti intervistati è di 7 anni e 4 mesi". Una promiscuità che può essere alle origini dell'elevato livello di tensione e malessere all'interno dai centri. "Ne sono la riprova le testimonianze dei trattenuti e le numerose lesioni che si procurano, il frequente ricorso che fanno alle strutture sanitarie e ai sedativi, i numerosi segni di rivolte, incendi dolosi e vandalismi e le notizie di cronaca di suicidi, tentati suicidi e continue sommosse. Una tensione che non appare semplicemente legata alla condizione di detenzione ai fini del rimpatrio, ma anche al senso di ingiustizia vissuto dai trattenuti nel subire una limitazione della libertà personale pur non avendo commesso reati, e di essere detenuti in luoghi, inoltre, incapaci per loro natura di trattare adeguatamente bisogni fondamentali come salute, orientamento legale, assistenza sociale e psicologica".
Inoltre, in base all'osservazione condotta, "i trattenuti rimpatriati rappresentano solo il 45% del totale".
"Mancano nei CIE, come a esempio in quello di Torino, i mediatori culturali senza i quali si crea spesso incomunicabilità tra il medico e il paziente. Sconcerta l'assenza delle autorità sanitarie locali e nazionali - dichiara Alessandra Tramontano, coordinatrice medica di MSF in Italia - e i CIE di Trapani e Lamezia Terme andrebbero chiusi subito perché totalmente inadeguati a trattenere persone in termini di vivibilità. Ma anche in altri CIE abbiamo riscontrato problemi gravi: a Roma mancavano persino beni di prima necessità come coperte, vestiti, carta igienica, o impianti di riscaldamento consoni".
"Nei CARA abbiamo rilevato servizi di accoglienza inadeguati. Il caso dei centri di Foggia e Crotone ne è un esempio: 12 persone costrette a vivere in container fatiscenti di 25 o 30 metri quadrati, distanti diverse centinaia di metri dai servizi e dalle altre strutture del centro. Negli stessi centri - conclude Tramontano - l'assenza di una mensa obbligava centinaia di persone a consumare i pasti giornalieri sui letti o a terra".